Il Bucintoro
Il Bucintoro è legato alle origini della Festa della Sensa, fu infatti la sfarzosa nave da parata in cui il doge celebrò nel 998 la vittoriosa impresa in Dalmazia. Ancora oggi il rito dello Sposalizio con il mare si ripete con lo storico lancio dell’anello in laguna. Di sicuro il primo Bucintoro fu una semplice galea scelta tra la flotta militare dello “Star del Mar” ma nel corso dei secoli e con l’aumentare della potenza della Serenissima nacque l’esigenza di farlo diventare sfarzoso naviglio. Il primo Bucintoro fu costruito probabilmente nel 1311, seguito da altre 3 imbarcazioni tutti di struttura simile, l’ultima del 1729. Queste le caratteristiche comuni: 35 metri di lunghezza; 7.5 di larghezza e 8 di latezza; governo di 3 ammiragli, con 40 marinai e 168 vogatori; due piani, il superiore coperto da un baldacchino con interni in velluto rosso, finestre in cristallo e tendine di seta. L’ultima uscita del Bucintoro fu alla Festa della Sensa del 1796. Dopo la caduta della Serenissima Repubblica, il 9 Gennaio 1798, i soldati francesi trasportarono l’imbarcazione all’isola di San Giorgio incendiandola per ricavarne l’oro. Si racconta che il fuoco ci impiegò tre giorni per distruggere i fregi che furono il simbolo della gloria e della potenza di Venezia. Ridotto a scafo ormai nudo con il nome di Prama Hydra, il glorioso Bucintoro fu armato di 4 cannoni come batteria gallegiante a difesa del porto del Lido, quindi fu completamente demolito all’arsenale nel 1824. Da anni si sta ventilando l’ipotesi di ricostruire questa imbarcazioni in modo fedele all’ultima del 1729, realizzabile grazie alla documentazione esistente presso il Museo Storico Navale di Venezia.
Le cortigiane veneziane
“In questa città cosmopolita dove c’era un gran via vai di stranieri, di commercianti, di marinai e navigatori (…)il fenomeno delle cortigiane era tollerato se non addirittura incentivato. Le cortigiane erano però controllate e soggette a leggi speciali; fino al XIV secolo erano vigilate dai Signori della Notte (…)organi pubblici che avevano compiti di polizia. Non potevano abitare in case comuni, non potevano frequentare le osterie e potevano girare per la città solamente il sabato. Nel 1360 vennero obbligate ad abitare in un gruppo di case, una sorta di ghetto a San Matteo di Rialto, chiamato il Castelletto. Da qui potevano uscire soltanto per girare nei dintorni, ma dentro un perimetro ben preciso e delimitato; inoltre alla sera, dopo la terza campana, dovevano restare a casa, pena una multa e dieci frustate (…). Erano molte: nel censimento fatto a Venezia nel 1509 venivano contate 11.164 “femene da partito”, cioè cortigiane. (…) Sembra inoltre che, per un certo periodo, il governo veneziano le esortasse a stare sui balconi a seno scoperto per arginare il diffondersi dell’omosessualità. La loro professione non era considerata disonorante, anzi spesso erano invidiate per il tenore di vita e per le amicizie che potevano vantare; certo, c’erano cortigiane di basso rango che abitavano in malsani tuguri ed eran frequentate dal popolino, e c’era l'”aristocrazia” della categoria: splendide donne spesso letterate o musiciste che gareggiavano e spesso superavano le donne della nobiltà. Queste infatti erano schiave della casa e delle mille regole che la società di allora imponeva loro; per paradosso le vere donne libere, alle quali spesso si facevano pubblici onori senza alcun pudore di sorta, erano proprio le cortigiane di alto rango. Vestivano in modo sfarzoso, abitavano in case lussuose e nei loro salotti si davano convegno letterati, artisti, esponenti dell’alta nobiltà”.